Sono stata fortunata. Ho impiegato più tempo a concepire l’idea di fare un figlio che a concepire il figlio.
E’ stato uno dei pochi casi nella mia vita in cui al pensiero è seguita immediatamente la sua realizzazione. One shot one kill. E’ andata più o meno così per entrambi i bambini. Il mio compagno, che avrebbe voluto esercitarsi più a lungo, dice, con malcelato disappunto, che per fare un figlio con me è sufficiente guardarmi negli occhi. Da quando l’ho scoperto porto sempre gli occhiali da sole, anche di sera.
Dopo però mi sono preparata. Non volevo arrivare sprovveduta alla nascita della mia prima figlia. E così, da secchiona, quale sono, ho studiato. Ho letto di tutto: libri sul parto, volumi sull’allattamento, manuali su come far dormire i bambini, trattati su come farli mangiare. E poi ovviamente ho fatto anche il corso preparto, ci mancherebbe. Dalla nascita all’ingresso all’università, durante la gravidanza, ero la maggiore esperta in circolazione in materia di pericultura e pedagogia.
O almeno così credevo. Perché poi è arrivata Bibì e tutte le mie certezze si sono sgretolate come un castello di sabbia alla prima brezza primaverile. Che poi l’avvento di mia figlia a tutto può essere paragonato fuorché ad un venticello qualsiasi. Un ciclone tropicale sarebbe un confronto più appropriato.
E’ andato tutto storto, a partire dal parto. Non via ammorberò con i dettagli delle fasi del mio travaglio. Ero convinta e lo sono tutt’ora, che si tratti di un evento del tutto soggettivo, lo è senz’altro nella dinamica – c’è chi ha fatto più in fretta di Speedy Gonzales e chi ha penato che neanche Ercole con le sue sette fatiche – ma lo è anche nella scelta delle tecniche. Odio chi fa campagne ideologiche a favore dell’una o dell’altra. Vuoi partorire in casa? Preferisci farlo in acqua? A testa in giù e con un dito nel naso? Ottimo, fallo! Senza rompermi continuamenti i cabasisi sui perché della tua scelta, che sottendono sempre il messaggio che sia quella più giusta, anzi l’unica possibile. E invece è come un guanto, ognuno dovrebbe scegliere quello che gli si adatta meglio.
Io avevo optato per il parto naturale, in ospedale e con l’ausilio dell’epidurale. Le cose non sono andate per il verso giusto. Perché l’imprevisto è sempre in agguato e la sfiga pure. Così ho avuto un travaglio lungo, doloroso e poco proficuo, visto che si è concluso in sala operatoria con un cesareo d’urgenza.
Quando mi hanno portato la bambina ero stremata. Tremavo come una foglia, , le occhiaie mi arrivavano sotto i piedi, i capelli vivevano di vita propria ed ero anche un po’ depressa. Pensate che piacere quanto ho scoperto che il mio compagno, preso dall’euforia da neopapà, aveva diffuso le mie foto post parto con accanto la nascitura, a tutta la rubrica di amici e parenti!
Comunque ero talmente stravolta che non ho avuto quell’esplosione di gioia che credevo mi avrebbe invasa e di cui molto si parla nella letteratura legata al parto. Questo non vuol dire che non fossi felice o che non abbia amato alla follia mia figlia fin dal primo momento. Vuol dire solo che le emozioni non le puoi programmare che vengono fuori quando e come pare a loro.
Dopo, volevo solo riposare e invece in ospedale non ho chiuso occhio. A solo un giorno dalla nascita Bibì ha iniziato a piangere, sprigionando dal suo esile corpicino il sonoro di una banda di paese. Ha fame, mi hanno detto. Così è iniziata la mia esperienza nel fantastico mondo dell’allattamento.
Quando l’ho attaccata ho sentito un male cane, che dai capezzoli si irradiava fino all’ascella. Passerà, dicevano le ostetriche. E invece non passava. Per i primi ventitrè giorni – conosco il numero esatto perché li ricordo uno ad uno – ho continuato ad allattare, e credo di poter dire, senza margine d’errore, che è stata una delle esperienze peggiori della mia vita. Ecco, l’ho detto. Per buona pace dei fanatici dell’allattamento al seno.
Eppure mi ostinavo a farlo perché in ospedale mi avevano fatto ‘na capa tanta con i vantaggi, per il neonato, del latte della mamma. E contestualmente “il neonato” continuava a piangere, ININTERROTTAMENTE sia di giorno che di notte. Questo simpatico spettacolino si è protratto fino all’intervento salvifico di mia mamma che, impietosita dalle urla della bambina e dall’espressione stravolta del mio volto, è corsa in farmacia a comprare il latte artificiale. Quando abbiamo dato il biberon a Bibì, per un attimo ho pensato di aver partorito un’idrovora: ha prosciugato il latte nel giro di mezzo secondo. Avevamo fatto mille snervanti ipotesi sul pianto della creatura. Ma lei aveva solo fame.
E’ stato il giorno della svolta: dopo aver mangiato è caduta in un sonno lungo ristoratore e da allora ha iniziato a dormire tutta la notte senza interruzioni (no, tranquille, non l’ho mai rivelato alle altre mamme, ci tengo alla pellaccia) Anche io sono stata meglio, dopo quei primi 23 giorni da incubo: ho iniziato a riposare regolarmente, e ho smesso di sentire quel lancinante dolore al seno.
Eppure quel parto da incubo e l’esperienza terribile dell’allattamento avevano lasciato il segno. Avevo sempre la sensazione di non avere il controllo sulle cose e avevo paura a restare sola con la bambina.
E allora ho capito che in questi momenti bisogna imparare a chiedere aiuto, ai compagni, alle mamme e persino agli esperti se necessario, senza vergognarsi, senza sentirsi per questo inadeguate. Io l’ho fatto ed è servito e come! Parlare di come mi sentivo, ma anche delegare o condividere le mansioni di accudimento della bambina mi ha fatto sentire meno sola e mi ha aiutata a rimettere insieme i pezzi del puzzle.
Sull’arrivo di un bambino sentire e leggerete tutto e il contrario di tutto. Per le neomamme c’è a disposizione una letteratura sconfinata. Su ogni argomento, dal parto alla pappa, le varie scuole di pensiero si sperticano in consigli più o meno sensati. Peraltro chiunque si sentirà in dovere di raccontarvi la propria personale esperienza.
Informatevi, ascoltate e poi fate le scelte che sentite più affini con voi stesse, ma non fatene dei cavalli di battaglia. Se optate per il parto naturale e poi non si verificano le condizioni per realizzarlo non sentitevi meno mamme per questo. Se scegliete l’allattamento al seno e poi non vi sentite di portarlo avanti non pensate di essere dei mostri nei confronti del vostro bambino. Se siete donne che non devono chiedere mai, autonome e indipendenti, sappiate che l’arrivo di un bimbo può essere un evento faticoso e stravolgente e non abbiate paura di chiedere aiuto.
L’arrivo di un bambino è un evento magico, tornerò ancora in questo blog a parlare dei tanti cambiamenti legati a questa esperienza, che resta a mio avviso una delle più emozionanti dell’esistenza.
Con questo post vorrei solo dire alle noeomamme che la nascita di un figlio è un evento molto difficile da programmare e da controllare. Che per quanto ci si prepari e si faccia dei progetti è bene mettere in conto che le cose possono andare diversamente da come le si era previste. Non disperatevi per questo! Per fortuna si tratta di un ambito in cui oggi, dal parto all’allattamento, sono previste alternative valide ed efficaci e se non sono esattamente quelle che avevate pensato per voi, pazienza, cercate di farvene una ragione! Il regalo più bello che potete fare a vostro figlio è quello di dargli una madre rilassata, serena ed in pace con se stessa
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