Attenzione: questo è un post ad alto tasso di nostalgia. Sono pregati di astenersi dalla lettura tutti coloro che sono affetti da immaturità cronica o da sindrome di Peter Pan.
Ridono, mentre ricordano, ancora una volta, il medesimo aneddoto, quello che hanno rievocato allo stremo e che ancora inspiegabilmente le fa sbellicare come se fosse l’anteprima di un racconto inedito. E invece risale ad una vacanza in Grecia di vent’anni indietro o alla prima uscita in macchina da diciottenni.
Ridono di battute delle quali sanno cogliere, in via esclusiva, la vena comica, ma che lascerebbero basito l’orecchio di un ascoltatore estraneo a quell’ironia intima e familiare di chi può contestualizzare perché ha condiviso.
Ridono l’una dei difetti dell’altra, di quelle increspature del carattere che darebbero sui nervi ad amicizie meno consumate, ma che sono diventati i tratti distintivi e irrinunciabili grazie ai quali si riconoscono, come i cani quando si annusano.
Custodiscono reciprocamente i segreti di quell’età dorata e irreverente, nella quale hanno trasgredito, tradito impunemente e amato senza regole.
Condividono il ricordo di notti ghiacciate d’inverno a tirare l’alba su strade dove “quello che conta è sentire che vai”, di confidenze sussurrate in un telefono con il filo attorcigliato*, di amori tanto assoluti quanto tormentati e di conseguenti, inevitabili delusioni cocenti.
Piangono al matrimonio di quella inarrestabile, che alternava i fidanzati con la disinvoltura di Samantha Jones ma che poi, a sorpresa, è capitolata per prima. Si commuovono per la corona di alloro di quella che aveva sì la testa per aria, ma a quanto pare anche i piedi per terra e hanno gli occhi lucidi davanti alla prima che scopre disarmata una pancia abitata.
Sorridono indulgenti nello scoprirsi, a vicenda, mamme apprensive e normative quando sono state bambine monelle e adolescenti ribelli.
Sembra che la solidarietà tra donne sia cosa rara, che le alleanze, quelle vere, siano appannaggio esclusivo di contesti ad alto tasso di testosterone, e forse è vero. Eppure quando tra un gruppo di donne scatta la complicità nascono sodalizi perpetui e un senso di appartenenza al gruppo davanti al quale impallidirebbe qualsiasi spogliatoio maschile.
Le amiche di gioventù ci hanno accompagnate nel momento in cui i nostri sogni erano intatti, in cui avevamo ideali incrollabili e miti da sfatare. Sono le custodi vigili di quello che eravamo prima di trovare una forma che ci definisse, le testimoni discrete dei nostri goffi tentativi di spiccare il volo, le complici consapevoli dei nostri maldestri esperimenti alla ricerca di un’identità adulta e originale.
Ed è per questo che sono una parte irrinunciabile di noi, perché sono la memoria storica di quel nostro potenziale che è confluito in quello che siamo, ma che poteva assumere altre sembianze. Perché loro sanno che adesso è così, ma poteva anche essere diverso.
E ora che abbiamo delusioni da smaltire, errori da scontare e conti da pagare cerchiamo insieme a loro quella vena di irresistibile follia che durante l’età dorata segnava il passo del nostro andare e di cui oggi troviamo le tracce nei giochi con i nostri bambini, nell’intimità con i nostri compagni e in quelle rare serate tra amiche nelle quali ridiamo a crepapelle.
*Nota per i nati dopo gli anni novanta: c’è stata un’era geologica in cui il cellulare si chiamava telefono e aveva queste primitive sembianze
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