A mio padre i bambini piacciono parecchio, quando ne incontra uno per strada si ferma sempre a fargli festa. Eppure l’annuncio delle mie gravidanze non l’ha preso bene, in entrambi i casi.
Quando ha saputo della prima, non ha tardato a manifestare la sua disapprovazione e, invece di congratularsi, ha preso ad elencare una serie di miei requisiti che, a suo avviso, andavano in contrasto con la nascita di un figlio: “non sei sposata”, “hai cambiato lavoro da poco”, “il Torinese è milanese solo per parte della settimana”.
E mentre borbottava le sue recriminazioni, scuoteva il capo in segno di dissenso, assumendo un’espressione molto simile a quella dei bambini quando mettono il broncio, la stessa che gli ha fatto guadagnare in famiglia il soprannome di “Brontolo”.
A mano a mano poi, che la mia pancia cominciava a lievitare, la pentola di fagioli riprendeva a bollire, anche se, all’occhio di un osservatore attento, non sarebbe sfuggito, tra una bolla e l’altra, uno sguardo paterno, dapprima incuriosito e poi sempre più intenerito.
Inspiegabilmente però, alla nascita della nipote, il nonno ha perso ogni memoria delle sue proteste. Se provavi a ricordargliele, ti fissava con espressione stupita, come se quei racconti non lo riguardassero in prima persona e con il volto indignato prendeva le distanze da chi aveva osato esprimere disappunto alla notizia dell’avvento della sua prediletta.
Anche mia madre alla nascita della nipote è rimasta folgorata, ma se lei al cospetto della bimba, riusciva a mantenere un barlume di dignità, il nonno perdeva ogni decoro. Al ritorno dal lavoro lo trovavo carponi con la bimba sulle spalle, sporco di pappa da capo a piedi e felice come un bambino.
Persino durante i primi mesi, quando la creatura sembrava posseduta da Scilla e pure da Cariddi, lui non ha mai perso la pazienza e per placarla se la portava in giro appollaiata sulla spalla come una scimmietta.
Devo riconoscere che quell’amore incondizionato era senz’altro ricambiato, dato che la prima volta che ho chiesto a mia figlia: “pulce, come si chiama la mamma?” lei ha risposto “Gianni!” urlando a squarciagola il nome del nonno.
Date le premesse mi sarei aspettata che all’annuncio dell’arrivo del secondogenito mio padre avrebbe cambiato registro. Brontolo invece si è risvegliato ed è subito tornato a mettere la pentola sul fuoco.
Questa volta, a suo avviso, le gravidanze erano oltremodo ravvicinate e due figli troppi per una mamma che lavora a tempo pieno. Inoltre confidava a mia madre un segreto inconfessabile: “non so se riuscirò a voler bene al secondo come alla prima”.
Ci siamo tolti ogni dubbio quando, subito dopo il parto, è venuto a trovarci in ospedale. Appena ha incontrato l’erede maschio lo ha sollevato tra le braccia e tutto orgoglioso ha proferito: “a lui insegnamo a giocare al pallone” e con questa frase ha sancito l’esordio di un nuovo inossidabile idillio.
Non ho alcuna intenzione di fare un terzo figlio. Due mi bastano, e talvolta avanzano, il tre sarà pure un numero perfetto, ma io non seguo la scuola pitagorica, stanno per sopraggiungere i limiti di età. Ma soprattutto a me i fagioli non piacciono per niente.
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