In questi giorni sono stata a Roma per alcuni impegni di lavoro. La prima volta che ho visto la città eterna avevo venticinque anni. Era primavera, il ponte tra il 25 aprile e il 1 maggio, ed ero andata in treno con un gruppo di amiche. Ricordo che l’avevamo letteralmente divorata, con la foga e la voglia di scoprire che accompagna i vent’anni.
Avevamo la nostra brava guida, cercavamo le mete turistiche da visitare e poi via, alla ricerca di un’altra destinazione, di una nuova suggestione, di una prospettiva da catturare e portare con noi. La sera avevamo i piedi a pezzi e l’umore alle stelle.
Negli ultimi anni a Roma vado almeno un paio di volte l’anno. Di giorno la mordo di sfuggita, acciuffo quello che riesco dal finestrino di un taxi, mentre mi sposto dalla stazione all’azienda, all’albergo. Di quella grande torta pilucco solo qualche ciliegina, poi mi chiudo in riunione.
Così per me Roma è diventata un’amante notturna, con un paio di colleghi girovaghi, me la godo al buio, quando la luce dei lampioni prova mollemente a sostituire i raggi del sole.
Conclusi gli impegni di lavoro, come vampiri affamati, iniziamo le nostre peregrinazioni notturne. Raramente stabiliamo una meta, preferiamo che sia la città a venirci a incontro, lasciamo che sia lei a svelarci i suoi segreti, le sue infinite bellezze, ma non ci affanniamo, ci limitiamo a tenere lo sguardo vigile e i sensi all’erta.
Capita di imbatterci solo per caso nelle sue architetture classiche, quelle che sono meta per turisti e sfondi per cartoline. E allora è come quando mettono la tua canzone preferita alla radio, a te piace sempre, anche quando l’ascolti nell’i-pad, ma l’effetto sorpresa la rende più bella, la riveste di una patina scintillante e misteriosa.
Ma sono gli angoli meno conosciuti quelli che in me suscitano più emozioni. È come se fossero più intimi, più miei. Anche se non hanno la stessa clamorosa bellezza dei siti storici, delle opere d’arte, delle celebri fontane. Ho imparato ad apprezzare anche il fascino discreto, l’eleganza poco appariscente. Mi fermo a guardare l’edera che sia arrampica sul muro di un’antica dimora, una terrazza sul Tevere, la cornice ricamata di una finestra illuminata e non le trovo meno affascinanti di piazza di Spagna o Villa Borghese.
Ecco, io penso che la vita a quarant’anni sia un po’ così, come una bella città in cui vai a zonzo lasciando che sia lei a condurti per mano, perché sai che se avrai la pazienza di aspettare e saprai individuare la direzione dove volgere lo sguardo, lei riuscirà a sorprenderti. Quello che devi fare è tenere lo sguardo vigile e i sensi allertati.
Perché a quarant’anni è un po’ venuto meno il vigore dei venti, quando ti muoveva la voglia di scoprire, di divorare nuove sfide, l’affanno di fare esperienze sempre diverse. Adesso gironzoli per le vie dei giorni con passo più rilassato e aspetti che sia la vita a sorprenderti.
Hai imparato ad amare anche la grazia dei particolari, le emozioni meno struggenti, ma inaspettate.
Perché la verità è che la bellezza la cerchi a vent’anni come a quaranta, da questa prospettiva nulla è mutato. Quello che è cambiato sono le modalità di ricerca, il ritmo dei passi, l’urgenza della scoperta.
Non so se era meglio prima o adesso, forse è solo diverso.
Ecco a questo ho pensato oggi, a pochi giorno dal mio quarantaduesimo compleanno, su un treno di ritorno da Roma.
La prima volta che ci sono stata era primavera, ora ci torno d’estate.
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