Quando ero più giovane, le domeniche d’estate, le passavo al fiume con gli amici.
Partivamo in tarda mattinata, perché la serata prima era finita con una colazione all’alba, infilavamo in borsa un telo da mare, un panino e una bottiglia d’acqua. Qualcuno doveva preparare un esame e provava a mettere dentro anche un libro che poi non apriva mai.
Attraversavamo un campo di grano, un sentiero nel bosco di castagni e infine, in fondo al canyon, si apriva la nostra laguna blu. Di tutte le anse che il fiume Trebbia crea nel suo percorso, noi sceglievamo sempre la stessa, la più bella. Anche se c’era altra gente, era il “nostro” posto, aveva la spiaggia, la cascatella per l’idromassaggio e quella pozza che più verde non si può.
Ogni estate il fiume cambiava forma e percorso, lo trovavamo, di anno in anno, più profondo, più verde più inarcato. E ogni anno anche noi ci scoprivamo diversi, nelle estati dei nostri vent’anni. Perché era ancora inalterata la capacità di adattarci al cambiamento e di mutare forma e sembianze se la vita ce lo chiedeva.
Facevamo il bagno immersi in quella corrente di ghiaccio e lasciavamo che il sole ci bruciasse la pelle mentre parlavamo del bacio della sera prima, del prossimo esame all’università, delle vacanze in Grecia con due spicci e un sacco a pelo.
Talvolta portavamo con noi gli amori estemporanei, talaltra quelli “per sempre”.
Poi al ritorno ci fermavamo in una trattoria piuttosto dimessa, ma aveva il pane fatto in casa e un affettato buonissimo, che noi accompagnavamo con un bicchiere di Ortrugo, prima di ripartire per le nostre strade ancora da vergare.
Questo week end, dopo anni, sono tornata in Trebbia col Torinese e i bambini, ed è stato strano scendere il sentiero tenendo per mano quello che, la volta prima, era solo un vago sogno, anzi due.
Erano anni che non andavo più nel nostro posto, l’ho trovato tanto diverso dai miei ricordi e mi sono chiesta se anch’io in questi anni sono cambiata così tanto, o se lo ha fatto solo la mia vita.
Poi mentre ero seduta nella cascatella pensavo che avevano qualcosa di profondamente diverso quelle domeniche in Trebbia dal tempo a venire. C’era una giovinezza piena in quei giorni lungo il fiume, come se la vita pulsasse più forte.
Perché in quelle domeniche d’estate eravamo come il fiume: selvatici, trasparenti, naturali e incontaminati, come forse non lo siamo stati più. E allora mi sono data una risposta.
E’ diventata famosa la nostra spiaggetta sul Trebbia. La trovo su Facebook, la chiamano la spiaggia di Milano. Quando lo leggo, un sussulto d’orgoglio lascia subito spazio ad un senso di fastidio, come quando prendono qualcosa di mio senza chiedere il permesso. Perché quella non è la spiaggetta di Milano, mi scopro a pensare, è il nostro posto, lo sfondo della nostra giovinezza, il custode di quel periodo in cui eravamo come il fiume, una corrente fresca diretta verso un mare affascinante e misterioso.
Rispondi