Sarà che sono figlia unica, che quando ero bambina non dovevo condividere i giocattoli o le attenzioni della mamma, ma le dinamiche tra i miei figli mi affascinano almeno quanto, durante la prima adolescenza, mi incuriosivano i rapporti tra i sessi.
Così le osservo come uno spettatore incantato e partecipe annotando mentalmente quello che più mi colpisce.
Quando è nato il piccolo, la grande aveva solo 19 mesi. Come consiglia la migliore letteratura pediatrica, il giorno in cui è venuta a trovarci all’ospedale accompagnata dai nonni, le abbiamo fatto trovare un regalino a sorpresa, facendole credere che era da parte del fratellino. Lei lo ha scartato ed ha ignorato entrambi, regalo e fratellino. Le sue attenzioni si sono piuttosto concentrate sulle monetine del mio portafoglio, con cui ha giocato per tutta la durata della visita, come se fosse quello il vero motivo per cui era stata condotta in ospedale.
Non è mai stata gelosa, alla stregua di un dato di fatto, si limitava a darlo per scontato, come il sole nel cielo, gli alberi in giardino, le caramelle nel barattolo. E come per tutto ciò che è scontato non mostrava alcun interesse nei suoi confronti, più che altro lo tollerava.
Almeno fino a quando quell’esserino inerme, che fino a poco prima si era limitato a piangere e a dormire, non ha preso ad accorgersi di lei o meglio ad adorarla col fervore di un indigeno verso una divinità religiosa.
Perché bastava che le passasse affianco affinché lui iniziasse a sorridere, cercasse di afferrarla o in qualche modo di seguirla. E questa venerazione sconsiderata è aumentata in modo direttamente proporzionale al crescere dell’età dei bambini, allorché entrambi hanno affinato le capacità d’interazione.
Adesso la sorellina è, per lui, un alter ego e la segue ovunque. Lei Don Chisciotte, lui Sancho Panza. Quando cade o si fa male è il nome della sorella che invoca in suo soccorso e quando parla di lei la chiama “la mia Bibì” anteponendo sempre l’aggettivo possessivo al nome proprio, come fa solo per la mamma ed il papà.
La imita in tutto, ne copia pose ed atteggiamenti, e ripete pedissequamente ogni sua frase nel modo in cui fanno i fedeli con il parroco durante la liturgia. Come un vero innamorato è geloso di chiunque si frapponga tra di loro e se le amichette la vengono a trovare a casa lui prova a strappar loro i giochi di mano. Cercando di riappropriarsi degli oggetti, spera di farlo anche con l’esclusiva sul cuore della sua adorata.
D’altro canto, poichè amor che nullo amato amar perdona, anche lei ha preso a ricambiare i suoi sentimenti, e conseguentemente a considerare il fratellino una sua personale pertinenza.
Adesso, quando dobbiamo attraversare la strada lo afferra per il polso e non lo molla fino a quando non lo ha traghettato al sicuro sull’altro marciapiede. Gli fa languide dichiarazioni d’amore: “ti voglio tanto bene”, “sei il mio fratellino preferito”, “mi vai a prendere un bicchiere d’acqua?” (nella medesima successione). E’ l’interprete privilegiata del suo misterioso linguaggio infantile, tanto che in caso di difficoltà chiediamo a lei di tradurre le sue parole.
E’ altresì vero che a queste scene di puro idillio si alternano, talvolta, momenti decisamente più conflittuali durante i quali i due pargoli si accusano vicendevolmente delle peggiori nefandezze, non esitano a farsi la spia, si accapigliano per un nonnulla. Ma sono episodi transitori, che non assurgono a veri e propri attriti, rientrano piuttosto nel novero degli screzi tra fidanzati.
Non avendo esperienza diretta mi chiedo come si evolvono i legami fraterni, fino a quando i miei figli porteranno avanti questa complicità e se anche da grandi saranno uno lo spalla dell’altro.
Poi, l’altra sera, stavo mettendo a nanna il piccolo e lui mi ha fatto una domanda che mi ha lasciato piuttosto turbata: “mamma, tutti diventano motti (morti)?” dopo essermi ripresa dallo stupore per lo spessore della domanda in un bimbo così piccolo, ho replicato cercando di non mentirgli, né di turbarlo, senza riuscire tuttavia a portare fino in fondo i miei propositi: “Sì amore, ma solo le persone vecchissime, i bambini no”. “Neanche le sorelline?” ha replicato lui. “No, neanche loro” l’ho tranquillizzato. Quindi si è girato di lato ed ha finalmente iniziato a dormire, sereno.
E allora mi sono detta che comunque si trasformi il loro rapporto, che qualunque sia la strada che imboccheranno e la direzione che daranno alle loro vite ci sarà sempre un filo tra di loro, una sorta di trait d’union che li terrà legati, dovranno solo andare a recuperarlo nella loro infanzia e riannodarlo stretto.
O almeno ho voluto crederlo.
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