Quando ho scoperto di aspettare un bambino, ho cominciato, a farmi un’idea del tipo di mamma che immaginavo sarei stata e col tempo questa fantasia ha iniziato ad assumere le sembianze di un vero e proprio ritratto.
Pensavo di avere delle caratteristiche personali che ben si sarebbero adattate al ruolo di madre e altre che invece avrei dovuto inevitabilmente ritoccare, per meglio adeguarle alla nuova misteriosa avventura cui andavo incontro.
Credevo, per esempio, di essere dotata di una buona riserva di pazienza, tale per cui avrei ben tollerato il pianto ermetico di un neonato disperato o i capricci ostinati di un bambino ribelle. Immaginavo che avrei persino trovato piacevole, se non addirittura romantico, passare il tempo nel tentativo di addormentare una creatura insonne (com’ero tenera!).
Ritenevo inoltre di avere una fantasia piuttosto fervida e che il mio animo fanciullo non aspettasse altro che un compagno di giochi con cui acciambellarsi sul tappeto circondato da trenini e animaletti di pezza.
D’altro canto temevo che sarei stata una madre un po’ troppo apprensiva, una di quelle che quando il bimbo inizia a camminare lo seguono passo passo per evitargli le cadute e, avanti su questa strada, continuano a farlo anche dopo la laurea in ingegneria, impedendogli così, nell’uno e nell’altro caso, di imparare a rialzarsi da solo.
Sospettavo poi di avere delle rigidità derivanti dal mio patrimonio genetico o dai miei modelli di riferimento che mi avrebbero portata ad essere una madre un po’ troppo normativa, una creatura con il corpo di un rottweiler e la testa della signorina Rottermeier.
E di conseguenza mi preparavo ad adottare le contromisure necessarie per scardinare questi ultimi aspetti. Tagliavo orli, cucivo strappi, rammendavo buchi per cercare di entrare comoda nella mia nuova veste di mamma.
Poi è nata la mia prima bambina e mi sono resa conto che quel ritratto che mi ero immaginata, non corrispondeva per nulla al mio modo di essere madre. Ma che anzi, laddove nella copia avevo dipinto le ombre, l’originale si rivelava pieno di luce e viceversa, laddove mi ero immaginata virtuosa, mi riscoprivo più mancante degli incisivi nel sorriso di un bimbo di sette anni.
Per esempio ho scoperto che la mia pazienza è riposta in un contenitore dell’ampiezza di una tazzina di caffè, che la mia fantasia, che credevo dotata di ali di farfalla, è appesa ad un palloncino sgonfio e che il fanciullino che alberga in me, invece di giocare con le barbie, preferirebbe di gran lunga uscire a farsi una birra con gli amici.
Al contrario ho realizzato che con i bambini, riesco molto bene a controllare le mie ansie e a bilanciarle con il giusto esame di realtà. E che, sebbene le regole siano un ingrediente base dell’educazione dei miei figli, riesco dosarle con la giusta misura in modo da amalgamarle con gli altri sapori e farne una pietanza se non prelibata quanto mento appetibile.
Perché la maternità ha questa caratteristica: spariglia le carte e le ridistribuisce a faccia in giù, tanto che quando dovrai girare il mazzo ti troverai a giocare una partita molto diversa da quella che avevi immaginato.
E’ come pensare di fare una torta con gli ingredienti che hai in casa. Ma quando inizi a preparare l’impasto ti rendi conto invece che le scorte a tua disposizione sono scadute e nella dispensa ti trovi ad avere ben altre provviste.
Ma questo non significa che la torta non verrà buona, o che i tuoi figli non la troveranno gustosa, sarà solo diversa da come l’avevi pensata, invece di un dolce al cioccolato, una bella crostata di frutta.
Perché diventare madre significa anche scendere a patti con i propri limiti e accettarli, scoprirsi fallibile e cercare di migliorarsi, ma vuol dire anche risvegliare le parti di sé rimaste a lungo dormienti e trasformare in risorse preziose, anche grazie a quell’ingrediente segreto che alcuni chiamano istinto materno ma che forse è solo la carta del mazzo che raffigura il jolly.
Anche a me la maternità ha fatto venir fuori parti nascoste o sopite. Il risultato è che se già prima ero un casino, ora in testa tengo proprio un’orchestra 😆😆😆
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Wow che bello vivere con la testa tra … la musica!
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“Perché la maternità ha questa caratteristica: spariglia le carte e le ridistribuisce a faccia in giù, tanto che quando dovrai girare il mazzo ti troverai a giocare una partita molto diversa da quella che avevi immaginato”
Credo che il senso della maternità sia racchiuso tutto in questo passo. La maternità, proprio perchè così intima, sorprendente e mutevole, è in continua evoluzione. Noi stesse come madri cambiamo.Non solo in relazione ai figli ma anche in relazione a ciò che fuori dal nostro essere mamme viviamo. Perchè, quel resto del mondo, che tanto cerchiamo di tenere fuori dalla porta per essere coerenti con noi stesse e con la nostra idea di essere mamma, in realtà ci influenza e ci cambia nel tempo. E’ una partita a carte coperte.
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sì anche questo è vero Isa, con il tempo cambia anche il nostro modo di essere mamma.
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anche io stavo per copiare il commento di Isaq, perché è vero, è un gioco continuo, un rimescolare le carte sempre. non si smette mai credo, nemmeno quando diventano adulti. bel post 🙂
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Grazie Chiara! Sì è vero bisognerebbe fare continuamente corsi di aggiornamento! bello anche il tuo posto di oggi! A presto
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