Ieri sera ho ritirato la posta e, tra bollette da pagare e pubblicità, c’era la brochure dei corsi del Comune di Milano. Stavo per buttarla, tanto, di tempo per fare corsi non ne ho, ma poi mi sono trattenuta e ho deciso di non farlo.
L’ho invece infilata in borsa e mentre salivo in ascensore mi sono chiesta se nell’opuscolo avrei scovato il corso che cercavo e, contemporaneamente ho sperato di non trovarlo, per avere come unico alibi il fatto che l’obiettivo della mia ricerca non fosse stato semplicemente inserito in programma.
Così, quando sono arrivata in casa, ho aperto la brochure sulla linguetta verde scuro, quella relativa all’informatica. E in terza posizione ho trovato proprio lui, il corso di scrittura web. Lo tengono il mercoledì sera, dall’altra parte della città.
Lo so già che non sarà possibile. In realtà ce la farei benissimo ad arrivare in tempo, basterebbe organizzarsi, ma preferisco comunque rinunciare. La ragione è una sola: sono una mamma che lavora e, se andassi a quel corso, i bambini il mercoledì non riuscirei a vederli, se non per pochi minuti. E non me la sento.
Intendiamoci, non sono una di quelle madri che pensa che sull’altare della maternità bisogna sacrificare le proprie ambizioni personali e men che meno i propri sogni. Tutt’altro, credo fermamente che una mamma realizzata e soddisfatta di sé sia una buon modello da proporre ai figli e che, al contrario, le frustrazioni materne siano più contagiose della varicella appena prima del rush cutaneo.
Ma penso anche che fare la mamma significhi sapere quando arriva il momento di andare incontro a delle rinunce per il bene dei figli. Io lavoro otto ore al dì e negare la mia presenza ai bambini per un’intera giornata, ora che sono ancora piccini, mi sembrerebbe una privazione per loro e un sacrificio per me.
E’ un equilibrio difficile, ma è indispensabile capire quando mettere il sassolino sul piatto della soddisfazione personale e quando farlo sul benessere dei figli, perché non sempre, purtroppo, le due cose si sovrappongono e perché a volte si rischia di usare i bambini come pretesto per rinunciare ai propri sogni, quando invece il vero motivo è molto meno eroico e ha a che fare con la paura di non riuscire a realizzarli.
Io, questa volta, decido di riporre la brochure del corso nella scatola dei miei appuntamenti rimandati, ci conservo i progetti che nell’immediato non riesco a realizzare, i sogni che per ora restano nel cassetto e tutte quelle attività a cui mi riprometto di dedicare attenzioni non appena avrò più tempo per me.
E’ un contenitore che in casa hanno tutte le madri. Nel mio, oltre al corso di scrittura web, c’è un biglietto d’aereo per New York, a memoria del viaggio che avevo in programma prima di restare incinta, c’è l’indirizzo della scuola Holden, con la quale è rimasto in sospeso un discorso, l’iscrizione al Bookeaterclub di Zelda, e tanti, troppi biglietti del cinema.
Non si tratta di attività che sono naturalmente incompatibili con la maternità. Ne sono consapevole. C’è chi le fa con disinvoltura, chi con qualche difficoltà, eppure si possono fare. Ma non è questo il punto.
Il fatto è che non si può più far tutto, come si poteva prima che nascessero. Bisogna inevitabilmente compiere delle scelte perchè il tempo da dedicare a se stesse e alle proprie passioni si comprime inevitabilmente.
Perchè diventare madre significa anche cercare una scatola e infilarci dentro alla rinfusa sogni da preservare e passioni da conservare con due chicchi di naftalina per proteggerle dalle camole e dal tempo che scorre.
E prima o poi arriverà il momento di aprirlo, quello scrigno pieno di appuntamenti rimandati. E quando solleveremo il coperchio alcuni di quei sogni saranno ancora alla portata, e forse spiccheranno il volo, mentre altri saranno scaduti per sempre e forse si tramuteranno in rimpianti.
E allora sarà il tempo di ricordarsi dei sassolini che abbiamo messo sull’altro piatto della bilancia: i primi passi, le prime parole, le coccole nel lettone, le notti in bianco accanto ad un bimbo malato saranno il parametro con cui soppesare il valore delle nostre scelte, il contrappeso delle nostre rinunce.
Perchè l’infanzia dei nostri figli è una cometa di passaggio, un attore che non accetta repliche, un violinista che non concede il bis.
Perché quando saranno grandi non cercheranno la nostra mano per camminare allacciati, non si infileranno di soppiatto nel lettone per trovare riparo da un incubo notturno, e non ci chiameranno con il ritmo con cui cadono le stelle la notte di San Lorenzo. Queste cose le fanno adesso.
E allora forse realizzeremo che quello che abbiamo messo nella scatola non poteva che stare lì, in attesa di tempi migliori, perché non avrebbe potuto competere con il privilegio di stare ad osservare, da una tribuna d’onore, lo spettacolo di un bambino che cresce.
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