A fine luglio ho notato che le balaustre dei miei balconi presentavano vistose macchie di ruggine, perciò per risolvere il problema, mi sono rivolta, molto ingenuamente, all’uomo di casa.
Ho utilizzato la formula che tiro fuori quando intendo essere perentoria, ma, per gentilezza o codardìa, non voglio che le mie parole abbiano il tono di un comando: mi sono cioè avvalsa della seconda persona plurale. “Dobbiamo riverniciare le balaustre dei balconi” ho declamato all’ignaro Torinese, salvo poi sfilarmi con molta disinvoltura e lasciare l’opera alla sua esclusiva giurisdizione.
Lui ha bofonchiato un teorema di proteste, ma poi molto diligentemente ha iniziato a dedicare tempo ed energie alla nuova impresa.
Già il giorno seguente lo trovo sul poggiolo in abiti da lavoro, munito di tutto il necessaire: antiruggine, pennelli, vernici, cartavetra, e una serie di strumenti di cui ignoro del tutto lo scopo, ma che mi incutono un discreto timore.
Mi compiaccio intimamente nel vedere che ha preso il suo compito molto sul serio e mi immagino di vedere a fine settimana il lavoro ultimato.
Ma faccio male i miei conti.
“Bisogna prima sverniciare” annuncia tutto compreso nel suo ruolo di imbianchino e così dicendo aggredisce la balaustra, che è la prima a cadere sotto i colpi della sua spatola. Toglie la prima mano di vernice, poi la seconda, infine la terza, e la riporta al suo stato grezzo, nuda come un verme.
Nel giro di qualche pennellata, la ruggine diventa il suo nemico giurato, la colpevole esclusiva del degrado del nostro balcone (oltre che dell’effetto serra, della crisi in medio oriente e della fame nel mondo) perciò non si accontenta più di portare a casa una battaglia, lui vuole vincere la guerra. Così oltre alla balaustra, decide di riverniciare (e sverniciare) anche le sbarre al grido: “ruggine non avrai il mio balcone!”.
La sera appena torna dal lavoro fa un rapido saluto, poi si fionda fuori: gratta, scartavetra, pittura, come se non ci fosse un domani. Se fa caldo, da vero eroe, affronta sole a picco, arsura e zanzare pur di proseguire nella sua mission impossible. Se piove, lo trovo che guarda fuori dalla finestra con lo sguardo pensieroso, ma non contempla il paesaggio cittadino, né si perde dietro i suoi pensieri, sta fissando la ringhiera come un gatto la sua preda.
Un tempo frequentava i locali alternativi della Torino underground, ultimamente il Bricocenter sotto casa è per lui il massimo dello sballo.
Ormai riverniciare la ringhiera è il suo pensiero fisso, lo scopo del suo andare, il fine ultimo della sua giornata. La causa per cui trascura amici, obblighi coniugali e doveri genitoriali.
Gli si dedica con perizia e prudenza, forse un po’ troppa, dato che ha iniziato le operazioni a fine luglio, ed ora che è scoccato l’autunno non ha ancora portato a compimento l’ardua impresa. Credo che Michelangelo con la Cappella Sistina abbia fatto più in fretta. E manca ancora l’altro balcone.
Forse mi nasconde qualcosa. O forse dovrei rallegrarmi: all’approssimarsi della mezza età alcuni uomini trascurano la moglie perchè si trovano un’amante, il Torinese ha trovato una ringhiera.
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