Sono sempre stata una sognatrice seriale e compulsiva, del genere “ad occhi aperti” per intenderci.
In verità più che semplici sogni, ho sempre immaginato vere e proprie sceneggiature, complete di intreccio narrativo, dialoghi strutturati, studio dei personaggi, il tutto supportato da una regìa attenta e scrupolosa. Questa attitudine però mi ha spesso conferito un’aria svagata e un po’ bohème, l‘atteggiamento distratto di chi vive una dimensione parallela.
Oggi ne rido, ma questa parte del mio carattere non mi è sempre andata a genio. Anzi per un periodo l’ho considerato un difetto da nascondere, una debolezza da insabbiare. Eh sì, perché se hai la testa tra le nuvole è un attimo che nell’immaginario collettivo passi subito per svampita, per quella che non si capisce bene se ci fa o se ci è.
Così ho sempre cercato di nasconderla, di occultarla agli occhi altrui per fingere anche davanti a me stessa che non esisteva. Ma celare un proprio difetto è un po’ come nascondere la polvere sotto il tappeto, prima o poi salta fuori. E di solito lo fa nel momento meno opportuno.
Ok, sarebbe stato sufficiente pensare che quello che conta è l’opinione che ho io di me stessa, e di quello che pensano gli altri chi se ne frega. Il punto è che non è così facile, ma non è neanche così vero. Perché io, talvolta, svampita lo sono davvero.
Mi è capitato di uscire di casa nei primi giorni di una tiepida primavera, con la giacca di jeans sulle spalle, annodata sul petto con un nodo alle maniche. Ho capito che qualcosa nel mio look non andava quando l’amica con cui avevo appuntamento mi ha chiesto: “Ale, perché ti sei legata un paio di jeans intorno alle spalle?”.
E’ successo che sono partita a bordo della mia amatissima Yaris sfrecciando come Boh e Luke sulle strade della contea di Hazzard. Sul tetto dell’auto, dove l’avevo posato prima di salire, un voluminoso fascicolo cartaceo seminava documenti in ordine sparso sulla circonvallazione milanese.
Potrei raccontarne a manciate di episodi simili. La verità è che ci ho anche provato a correggermi, ma più cercavo di fingermi sul pezzo e di prestare attenzione agli aspetti pragmatici (e noiosi) dell’esistenza e più incappavo in gaffe e lapsus a profusione.
E allora ho deciso di cambiare strategia. Quello che mi ha fatto cambiare atteggiamento rispetto a questa parte del mio carattere è che ho iniziato a prenderlo in simpatia.
D’altro canto ha la testa tra le nuvole la regina della seduzione, l’icona della sensualità, va beh a recitare non sarà la Magnani, ma chi può contestare il fascino di Marylin? Vive in una dimensione parallela anche la Phoebe di Friends, ma chi di noi non è morto dal ridere per le sue gag con Joey? E’ un po’ svampita anche quella pasticciona di Bridget Jones, ma non era lei che ad un certo punto veniva contesa tra Hugh Grant e Colin Firth?
E allora ho pensato che quello che conta davvero è che io so che questo aspetto sbadato è solo il lato più leggero del mio carattere, ma che io sono anche tanto altro e chi non lo sa vedere … beh il problema è suo.
E così, invece di imbarazzarmi per la mie “distrazioni”, ho iniziato a riderne insieme agli altri e invece di giudicarle (male) o di nasconderle, ho preso a lasciarle vivere. Talvolta ho cavalcato l’onda, altre ho forzato la mano, e nel contempo ho imparato l’autoironia.
“Beato chi sa ridere di se stesso” diceva Sant’Agostino “perché non finirà mai di divertirsi”. E io vi assicuro, me la spasso parecchio.
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