una questione d'orgoglio

UNA QUESTIONE D’ORGOGLIO

Lei aveva vent’anni, era ingenua e un po’ selvatica, tutto sommato una brava ragazza. Lui aveva qualche anno in più e una fama da ribelle che lo precedeva ovunque.

Inciamparono in quella storia per caso, senza neanche accorgersene, e vi rimasero appiccicati come mosche in una ragnatela. Era un rapporto singolare, senza impegni né ruoli. Ad ogni incontro, più o meno casuale, ricominciava il gioco degli sguardi, il valzer del corteggiamento.

Erano un gatto e un topo, ma non era chiaro chi scappava e chi inseguiva. Erano un leone e una gazzella senza che si capisse chi fosse la preda. Più che una relazione era un partita a poker in cui l’attesa contribuiva a rendere più frizzante il gioco.

C’era l’adrenalina di una prima volta che si replica all’infinito, come in quei film in cui il protagonista è costretto a vivere a ripetizione la stessa giornata, nel tentativo vano di un riscatto. Lei talvolta ci provava a far evolvere la trama, a trasformarla in un racconto. Ma erano tentativi flosci, poco convinti, che la riportavano sempre al punto di partenza.

Eppure quei giri di giostra creavano dipendenza, come una droga pesante.

Fu lui che si sfilò, lo fece male e senza sconti, nel modo più facile e vigliacco. Non lo annunciò, lo servì su un piatto d’argento, alla stregua di un dato di fatto.

Forse fu a causa del fatto che venne colta alla sprovvista, che a lei sanguinò il cuore. Smise di mangiare e iniziò a scrivere su un diario dai disegni giapponesi le pagine della sua prima grande delusione d’amore. Raccontò lo strazio dell’abbandono e la ferita del tradimento.

Poi, pian piano il cuore si fece meno pesante e la delusione meno pungente. E così riprese a vivere e a mangiare perché a vent’anni era troppa la voglia di prendere la vita a morsi. Ma non elaborò davvero il lutto, il suo cuore rimase con lui, incapace di andare oltre, di volare altrove con la leggerezza dei vent’anni.

E lui tornò. Fece quello che lei nelle sue fantasie aveva immaginato con tutte le sue forze. Tornò disarmato e sconfitto e le si consegnò arrendevole come un prigioniero che ha fallito il piano di fuga.

Lei mandò avanti l’orgoglio a dirgli che no, indietro non lo rivoleva. Quindi tirò su una fortezza, sbarrò gli usci e si barricò dentro. Consumò così la sua insperata quanto insipida vendetta, senza concedergli neppure il beneficio di accettare una spiegazione in acconto.

Poi, pian piano, lo cancellò prima dal suo cuore e poi, col tempo, dai suoi ricordi. Fino a quando una sera di tanti anni dopo, mentre riordinava la soffitta si imbatté per caso in un diario dai disegni giapponesi e con esso nella storia di un amore ingannato.

Rilesse la storia di quella strana attrazione e della sua fine per mezzo di una levata di scudi. Poi sfogliò ancora e ancora, ma a seguire solo pagine bianche.

E allora comprese quello che non aveva capito a vent’anni. Che l’orgoglio è un vigliacco, che spesso è la maschera dietro la quale si nasconde la paura di vivere e di soffrire. Capì che invece di barricarsi dentro avrebbe dovuto lasciare bruciare la candela di quella passione rovente e sgangherata, almeno il tempo di capire che non c’era niente di cui avere paura.

Probabilmente sarebbe rimasta solo cenere, ma quanto meno le pagine restanti di quel di diario e di una parte della sua vita avrebbero avuto ben altra sorte che quella di uno sfondo bianco.


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9 risposte a “UNA QUESTIONE D’ORGOGLIO”

  1. Avatar Judith
    Judith

    Un cibo riscaldato ha lo stesso sapore di prima, ma un pò peggio (a meno che si tratti di una lasagna, ma gli uomini-lasagna non esistono). Forse una seconda possibilità sarebbe stata solo il trampolino per una seconda (e più amara delusione), forse no (forse davvero era un uomo lasagna). Il punto è che possiamo decidere solo con i mezzi che abbiamo a nostra disposizione, mai con il senno di poi e lei ha solo vagliato una rosa di possibilità e scelto tra le tante, quella che più le pareva utile, ciò di cui aveva probabilmente bisogno, e doveva essere così e non altrimenti. Non avrebbe potuto essere altrimenti. Non usare il senno di poi come alimento per il rimpianto.

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    1. Avatar blogcambiopasso

      ciao Judith, concordo sul fatto che il cibo riscaldato non è più buono, ma in questo caso non era stato cotto davvero neppure la prima volta e secondo me un giro in forno non avrebbe fatto male, così giusto per capire il sapore che ha 😉

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      1. Avatar Judith
        Judith

        ahahaha ecco XD Allora si’, allora capisco meglio

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  2. Avatar cazzeggiodatiffany

    E se oltre all’orgoglio ci fosse la non piena convinzione che non ne valesse più la pena? È difficile che l’orgoglio non venga abbattuto dalla passione incontenibile.. probabilmente quel fuoco nel tempo era già divenuto una piccola fiammella, gestibile ed evitabile. È andata bene così probabilmente! Ps. Finzione o realtà? 😬

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    1. Avatar blogcambiopasso

      Per scoprire se era vera passione o meno bisognava provare a lasciarla bruciare e invece lei ci ha rovesciato un secchio d’acqua sopra. Finzione o realtà? Ai posteri l’ardua sentenza 😉

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  3. Avatar massimolegnani

    racconto esemplare per stile e contenuto. da questo punto di vista non cambia nulla che sia reale o di fantasia perchè lo hai posto su un piano narrativo.
    ml

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  4. Avatar blogcambiopasso

    grazie Massimo, detto da te è davvero un bel complimento. Bentornato!

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  5. Avatar mrsbean73

    Quello che vediamo con gli occhi del poi ha sempre una luce diversa. Difficile dire cosa fosse meglio per quella brava ragazza. Sono rimaste pagine bianche, è vero, seguite sicuramente da nuove pagine scritte fitte fitte.
    Molto bello Alessandra, uno stile impeccabile!

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  6. Avatar blogcambiopasso

    vero Margherita, altri fiumi di inchiostro e lacrime 🙂 . Ma non solo. Grazie Marghe e buon Natale !!!

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