Esce dall’ascensore e sorride. Lo fa sempre quando ci rivediamo. Ama il contatto fisico, ti prende, ti bacia, ti abbraccia. Anche se ha coltivato per una vita l’arte del ritardo, è in orario questa volta, ha imparato la puntualità. Ha portato dei regali per i bambini, e loro le saltellano intorno, sbirciano nei suoi sacchetti. La stavano aspettando, è una che sa parlare il loro linguaggio, farsi piccola per essere alla loro altezza.
E infatti entra, si toglie le scarpe e si acciambella a giocare sul parquet. E loro, anche se non la vedono spesso, diventano mansueti e si lasciano avvicinare come con una di famiglia.
Lei è Teresa, quella che quando parla con la loro mamma non si capisce niente, perché iniziano dieci discorsi contemporaneamente, li lasciano in sospeso, li riprendono a casaccio e in ordine sparso e li abbandonano di nuovo, prima di portarli a termine o, più spesso, di lasciarli incompiuti. Ciononostante si capiscono la mamma e Tere, nonostante quei discorsi sconclusionati e sovrapposti, si capiscono bene. Viaggiano sulla frequenza della loro affinità elettiva.
Tere piace anche a loro. Quando erano più piccini chiamavano col suo nome tutte le amiche della mamma, che nel lessico familiare sono diventate, appunto, le Terese.
Lei però è l’originale. Ha l’aria un po’ svagata di chi sa indossare un paio d’ali e volare al ritmo della leggerezza, ma è tutt’altro che superficiale sa guardare dietro alle apparenze, sa inabissarsi e andare al fondo delle cose con il fascino di chi riesce ad armonizzare le proprie qualità con il loro contrario.
Ci conosciamo da tanto tempo Tere ed io. Anche se non abbiamo condiviso l’infanzia, abbiamo le radici piantate nello stesso terreno. Lei è quella che metteva i cerotti sul mio orgoglio ferito quando un amore finiva in tragedia, quella che faceva un po’ di luce con la torcia quando la mia anima scivolava in un antro buio, quella che stendeva la cartina quando preparavo strategie di seduzione o tattiche di riconquista.
E’ nata il giorno dopo il mio, e forse è per questo che un po’ ci assomigliamo, nelle nostre differenze. “Noi Ale abbiamo la piètas, quella dei romani”, mi ha detto una volta lei che ha fatto gli studi classici. Chissà se è vero, io credo invece che usiamo gli stessi setacci per filtrare le cose del mondo.
Ricordo con lei lunghe sessioni di autocoscienza al telefono, confidenze e pettegolezzi inzuppati in buon bicchiere di vino rosso e risate scomposte e insensate per questioni serie solo in apparenza. E mi strappa un sorriso pensare che questo stesso elenco si può declinare al presente, oltre che al passato.
Ci sono amicizie che diventano lise, le sgualcisce il tempo, la distanza, i figli che arrivano, gli stili di vita che cambiano. Ci sono persone che fanno con noi un pezzo di strada, ma dopo qualche fermata scendono, continuano la loro vita su un altro binario.
E poi ci sono le amicizie che, nonostante le impennate della vita, restano, e diventano punti fermi, le boe a cui aggrapparsi nei giorni di burrasca, i forzieri in cui depositare un segreto, le complici con cui condividere la felicità di un sogno che si realizza.
Teresa è una di queste, ti afferra nella sua morsa di affetto, fiducia e presenza. E non ti molla. Anche se hai due figli piccoli e poco tempo, anche se a volte sei svagata e distratta.
Perché nella vita ci sono le amicizie che passano e vanno e poi ci sono quelle che restano, crescono e diventano Terese.
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