Sono sempre stata timida, fin da bambina. Avevo una fantasia molto fervida e un mondo interiore piuttosto ricco nel quale mi trovavo a mio agio. Per questo mi interessava relativamente quello che succedeva fuori e per questo probabilmente ero poco propensa ad entrarvi in contatto.
Sono timida tutt’ora. Sono una che arrossisce se le piace qualcuno, se deve parlare in pubblico o con chi non conosce. Non si tratta solo di un colorito un po’ più acceso, no, in questo io spacco proprio, divento rossa, di un bel rosso scarlatto che non passa inosservato. La mia è una timidezza appariscente, che ama mettersi in mostra.
Non l’ho mai vissuta bene, comunque. Quando stavo in mezzo agli altri e dovevo socializzare avevo spesso la sensazione che prova chi arriva ad una festa quando sono già tutti alla terza birra. Che non è come dire che mi sentivo a mio agio. Con il tempo sono migliorata, ma nell’animo resto una timida.
Per questo ho iniziato a rifletterci sopra quando ho notato che anche mia figlia inizia a manifestare degli atteggiamenti da timida. Me lo dicevano le maestre già all’asilo quando mi raccontavano che per rompere il ghiaccio aveva bisogno del supporto dell’amica del cuore. Me lo dice anche mia madre ricorrendo a una di quelle espressioni cariche di ansia che la contraddistinguono: “bisogna fare qualcosa, questa bambina è timida!”. Lei fa così, appiccica etichette per avere l’impressione di avere tutto sotto controllo.
Io invece mal tollero tutto ciò che serve a catalogare in schemi fissi. Credo piuttosto che ognuno di noi abbia una propensione verso determinati atteggiamenti, che magari si manifesta da quando siamo bambini, ma che non è rigida ed immutabile e può trasformarsi in base al nostro vissuto e all’ambiente in cui ci muoviamo. Se invece veniamo catalogati come persone timide, finiremo per adeguarci alle aspettative, facendo della timidezza una nostra caratteristica.
Credo inoltre, perchè l’ho sperimentato, che essere timidi dipenda molto dalla nostra insicurezza. A me per esempio capita di essere timida in alcune situazioni e più disinvolta in altre nelle quali mi sento più sicura.
Per questo non mi piace forzare mia figlia a socializzare, né imporle situazioni nelle quali so che si troverebbe a disagio. L’altro giorno, per esempio, è stata invitata per la prima volta ad un pigiama party e dopo ripensamenti e tentennamenti vari, ha decretato che non se la sentiva di fermarsi a dormire fuori casa. Alla fine ha deciso di rimanere dall’amichetta solo per la cena e poi siamo andati a recuperarla.
Non la forzo, dicevo, combatto la sua insicurezza con un’altra strategia. “Sei la mia bambina in gamba, intelligente e importante” le dico spesso. Cerco di rafforzare la sua autostima con un trittico di “i”. Glielo dico perchè ci credo, altrimenti, sveglia com’è mi sgamerebbe in due secondi e l’effetto sarebbe controproducente e catastrofico. E glielo dico perchè è ancora in un’età in cui quello che penso di lei non solo le interessa tantissimo, ma sedimenta e va a costruire la sua identità. Non sarà così più avanti quando la mia sarà solo una voce in sottofondo e quello che penso, un’opinione da contrastare a priori per puro spirito di ribellione.
Ma c’è un’altra cosa che le dico ed è una cosa di cui mi sono accorta con il tempo,
Viviamo in un mondo che non sa smettere di parlare, pieno di gente che grida e alza la voce, di esibizionisti a tutti i costi, senza talenti né cose da dire, di gente che preme per stare sul palcoscenico e sotto i riflettori. Ci muoviamo in una società in cui vanno di moda la sfrontatezza e la spudoratezza e in cui sono i comunicatori ad emergere.
Invece a me piace chi entra in punta di piedi e chiedendo permesso, chi parla sottovoce, chi non si impone ad ogni costo. Mi piacciono le persone sensibili e modeste, quelle che sanno osservare e stare ad ascoltare.
E quindi quello che le dico, quando la vedo in difficoltà, è che a me i timidi piacciono. Lo faccio perchè se voglio che si senta sicura di sé il primo passo è che si senta accettata per quella che è.
Non so se sia la soluzione giusta, può darsi che ce ne siano di più efficaci, ma quello che spero è che sia giusto l’obiettivo, che non è certo quello di vincere la timidezza. Voglio piuttosto che si senta adeguata e amata per quella che è, e che non senta il bisogno di cambiare per compiacere gli altri.
Se riuscirà in questo la sua timidezza continuerà probabilmente a stare lì, ma sarà per lei solo una sfumatura del carattere e talvolta, forse, anche una risorsa.
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