La incontro per due chiacchiere, lo faccio volentieri, è da un po’ di tempo che non ci vediamo di persona, ma mi accorgo sin da subito che c’è qualcosa che non va.
Non sorride, come fa di solito quando mi vede, e si tiene stretta con le braccia come se avesse freddo, anche se è un serata ancora tiepida e lei è avvolta in uno scialle piuttosto pesante.
Ci sediamo nei tavolini all’aperto di un locale poco affollato e appena dopo aver ordinato, mentre sorseggia un calice di vino bianco, mi rivela la notizia che rende urgenti le sue parole e che le disegna sul volto un’espressione rassegnata. Si sono lasciati, il loro amore è finito, morto stecchito, nonostante svariati tentativi di rianimarlo.
Era troppo grave, mi dice, le ferite erano numerose e molto profonde e nessuno dei due avrebbe optato per l’accanimento terapeutico.
L’ha ucciso la noia, sostiene. Stai attenta, avverte, è un veleno subdolo e spietato. Penetra lentamente e quasi non te ne accorgi. Infatti è inodore e incolore. Però se non prendi subito provvedimenti va diritto agli organi vitali e li stritola, lasciandoli inermi e senza forze. Non serve un vaccino inedito per fermala, basta un pretesto qualunque per ridere, possibilmente a crepapelle.
Lo hanno fatto fuori le discussioni. Quegli scontri apparentemente innocui che nascono da questioni di poco conto e poi sfuggono di mano finendo per deflagrare sui massimi sistemi. Sono bombe ad orologeria la cui miccia ha la forma di un tubetto di dentifricio lasciato senza tappo, di una pasta troppo cotta o di un anniversario rimasto senza auguri. Possono restare ordigni inesplosi, ma occorre maneggiarli con cura, altrimenti rischiano di scoppiare e di distruggere il rapporto.
E’ morto d’inedia, era già molto denutrito quando ce ne siamo accorti. Noi eravamo troppo concentrati sugli affanni della quotidianità: i figli, il lavoro, gli impegni e così ci siamo scordati di accudirlo. Quando ce ne siamo resi conto era già una pianta rinsecchita e senza foglie. Non è servito a nulla versarle un bicchiere d’acqua nel vaso.
L’ha soffocato l’assenza di spazio. Ciascuno di noi avrebbe dovuto prendersi i propri, affinchè il sentimento non restasse schiacciato dalle insoddisfazioni di entrambi. Non è tempo sottratto alla coppia, quello che usiamo per coltivare interessi personali, frequentare amici esclusivi, nutrire passioni individuali. Anzi è aria fresca, serve a ventilare il rapporto, a evitare che soffochi. E’ concime nutriente che aiuta a dare nuova energia. Noi pretendevamo che sopravvivesse da solo, al buio e senza ossigeno.
L’ha pugnalato quell’altra. Certo già di suo non godeva di ottima salute, era affaticato dagli anni, usurato dalle incomprensioni e lei ha avuto facile accesso. Come un virus che fa breccia in un organismo fragile e malaticcio, gli ha sferrato il colpo di grazia, quello fatale, e ha tolto entrambi dall’empasse di dover prendere una decisione.
Sono colpita dall’analisi spietata e consapevole che fa dell’epilogo del suo matrimonio, di come vada dritta a bomba, senza stare troppo a girarci intorno. Credo che lo debba a se stessa, prima di tutto, per concedersi di mettere insieme le lettere della parola FINE.
Qualcuno dice che in amore non si impara dai propri errori, che ogni volta si ricomincia tutto da capo, come con una pagina bianca. Forse ha ragione, però un’analisi onesta di quello che è stato mi sembra in ogni caso un buon punto di ripartenza.
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