Ieri, dopo quasi un anno di assenza, Dondolina è rientrata al lavoro.
E’ stata una scelta, non un’imposizione. La verità è che dopo una lunga lontananza forzata, il suo ufficio le mancava.
Così ha aperto gli occhi al suono della sveglia, ha accantonato la tuta e le ciabatte, che le hanno fatto da divisa d’ordinanza per l’ultimo anno, e si è infilata in un paio di scarpe col tacco che hanno avuto il potere di restituirla al mondo.
Guidare nel traffico le è sembrata un’esperienza alternativa e perfino divertente.
Ha parcheggiato nel box aziendale e ha subito raggiunto il suo ufficio al secondo piano, ma si è scordata di passare a farsi misurare la febbre ed è stata prontamente redarguita dalla portineria. Perchè il covid ha cambiato i rituali e stravolto le abitudini, ma non la solerzia della nostra receptionist.
Appena varcata la soglia del suo ufficio ha preso atto, con grande amarezza, della morte delle piantine di peperoncini Habanero di cui si prendeva cura con grande dedizione, che non hanno resistito all’ assenza delle sue chiacchiere e più probabilmente alla mancanza d’acqua protrattasi per quasi un anno.
Ha preso il caffè alla macchinetta, quello che, se provi a sorbirne più di due tazze di fila, ti perfora l’ulcera e, con sua grande sorpresa, le è sembrato quasi buono.
Poi ha rivisto i colleghi. E’ stata aggiornata, a debita distanza di sicurezza, su strategie aziendali vere o presunte, recenti voci di corridoio e pettegolezzi vari. I piu’ stretti l’hanno messa al corrente dell’evoluzione delle loro vite e lei ha potuto riprendere il bandolo di fili che si erano bruscamente interrotti. Ha constatato che è stato un anno difficile per tutti e che, in alcuni casi, il lock down e l’isolamento forzato hanno scavato buchi e aperto voragini.
Ha rivisto il coinquilino pelato, il compagno di stanza che rappresenta la sua convivenza più lunga dopo il Torinese, e che per 10 anni ha sopportato con encomiabile pazienza gli sproloqui, gli sfoghi e qualche isolata, ma interminabile lamentela, di una donna a volte troppo stanca.
Nonostante si sia fatto crescere la barba, che gli conferisce un aspetto più autorevole e vissuto, ha constatato che è quello di sempre: serio e divertente, riservato e disponibile, affidabile e cazzaro. Adesso si parlano attraverso una parete di cartone, ma non hanno perso il gusto di prendersi per i fondelli, anche se ora lo fanno a voce molto alta.
Ha rivisto il signore egiziano che fa le pulizie e ha realizzato che la pandemia non è riuscita a spegnere il suo incontrovertibile buonumore, sebbene sia molto arrabbiato con i cinesi che, a suo dire, avrebbero ordito un complotto internazionale al solo scopo di arricchirsi vendendo vaccini ai vari Paesi.
Ha riso di gusto alle battute del collega dell’ufficio di fronte, che sono le stesse da circa 10 anni, ma come le dice lui, nessuno.
E in tutto ciò, ha anche trovato il tempo per lavorare, il fondoschiena appoggiato su di una sedia ergonomica che le è apparsa decisamente più confortevole di quelle di plastica della sua cucina.
E così quella che in tempi non sospetti sarebbe stata una normale giornata di lavoro, le è invece sembrata un evento mondano pazzesco.
In effetti a volte la routine anestetizza un po’ e fa perdere il piacere di godere delle cose belle che stanno dentro alle nostre abitudini. Vale per l’amore, l’amicizia, la famiglia, ma anche per il lavoro. A restituircene il sapore ci pensano le pause, i cambiamenti e le interruzioni, anche quando non sono cercati, anche quando ci sembra che la vita ci stia facendo uno sgambetto.
E allora vale la pena ascoltarli, provare a girare la medaglia e guardarne l’altro lato. Forse ci farà realizzare, con nostro grande stupore, che il caffè della macchinetta non è poi così male.
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