C’è una collega, nel nuovo posto di lavoro, che mi ricorda tantissimo quando avevo la sua età. Ha 15 anni di meno e altrettanti centimetri in più, ma le stesse inquietudini sul senso da dare alla vita che avevo anch’io a 30 anni.
Il mio capo me l’affida: “falla crescere” mi ingiunge assegnandomi il suo tutoraggio. Qualche coincidenza, lo stesso percorso di studi, l’esperienza comune della maternità e nasce in fretta un’affinità elettiva. Con il tempo, però, mi accorgo che oltre ad appoggiarsi a me da un punto di vista professionale, inizia a vedermi come una guida, cerca qualcuno che la indirizzi anche nella vita. (E che la scelta sia caduta su di me, la dice lunga sul suo stato mentale attuale.)
Che c’è qualcosa che non va lo capisco quasi subito. Due domande ben piazzate e l’impalcatura crolla. “Mi sento a un bivio” mi dice. “E’ possibile, secondo te, raddrizzare un percoso che si è incanalato in una direzione che non mi somiglia? Ha senso abbandonare una strada sicura per un futuro incerto e precario, ma che sento più affine?”. “Gulp!” penso, mentre il nastro si ravvolge e mi porta indietro di 15 anni.
Vorrei aiutarla, ma non le posso dare in prestito le mie risposte, deve trovare le proprie e deve farlo da sola. Perciò mi limito ad ascolatarla, ma non do suggerimenti, né consigli. Anche se a volte faccio fatica a sottrarmi: “se hai capito cosa ti piacerebbe fare, sei già a buon punto”, mi scappa detto.
Però la vedo che si strugge, è inquieta, ha le occhiaie e le sono comparse delle macchie rosse sulle braccia. “Hanno natura psicosomatica” mi confida. Intanto al lavoro non si concentra, è sveglia, è intelligente, ma non si applica. Sembra mio figlio piccolo. Ma io la difendo: col mio capo, coi colleghi, dai giudizi degli altri. Che ne sapete voi che avete individuato la vostra strada al primo colpo, di chi sta ancora cercando la direzione da dare ai propri passi? Vi è mai capitato di trovarvi in mezzo al guado e non sapere se proseguire o tornare indietro?
Ma so anche che non potrà indugiare troppo a lungo in questa empasse. “Fai una scelta” le dico, “altrimenti corri il rischio di restare incastrata per sempre in un intermezzo”. Ma lei esita, tentenna: “e se poi?” continua a chiedere.
Poi ieri mattina mi squilla il telefono e sul display appare il suo numero. “Mi sono licenziata” mi comunica senza troppi preamboli “ho trovato un altro lavoro ”. Dice che non è un sogno che si realizza, ma che va a occuparsi di un’attività che le piace un po’ di più rispetto a quella che svolge ora. E io penso che va bene lo stesso, che sta andando nella direzione giusta, quella più vicino al suo modo di essere.
Mi hanno chiamato in tanti, tra i miei colleghi. “Nooo, ma se ne va? Ma è matta? E il tempo indeterminato? E lo smart working? I benefit? E il contratto migliore del mercato?” Io li lascio dire e intanto prendo il mio telefono e le scrivo quello che in questi mesi avrei voluto dirle, ma non potevo:
“Hai fatto bene, V. hai ragione tu. Perchè hai zittito tutte le altre voci e ti sei messa in ascolto della tua. Lasci le sicurezze è vero, ma non hai tradito te stessa e la tua natura. Bisogna sempre provare a raggiungere i propri sogni, anche se stanno sul lato più scomodo, quello opposto alla comfort zone. Perchè non c’è nulla che ci faccia stare meglio che provare a diventare chi siamo”.
Lo scrivo a lei e lo ricordo anche a me, che se a quella di 15 anni fa non è più possibile farlo presente, con quella di oggi, ogni tanto, è meglio rinfrescare il concetto.

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